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Il santuario di Pierno si erge su un altopiano posto a 960 metri s.l.m., alle immediate falde dell'omonimo monte (1268 mt) in territorio di San Fele (PZ), da cui dista meno di 10 Km. Il monte, caratterizzato dalle sue bianche rocce di origine carsica, è coperto da una folta vegetazione di querce e castagni ed è accostato al monte S.Croce (1427 mt) anch'esso coperto da una folta vegetazione e ricco di sorgenti d'acqua cristallina.

 
   
 
   

La storia del Santuario
La più completa ricostruzione storica (e laica) del Santuario di Santa Maria di Pierno è stata curata nel corso degli anni dal senatore lucano Giustino Fortunato (1848-1932) e dallo storico francese Emilio Bertaux. Nei libri di storia, i primi riferimenti alla zona di Pierno sono collegati alle vicende di Annibale che, nel 201 a. C., sarebbe transitato proprio alle falde del monte. Il condottiero cartaginese proveniva da Herdonea, (l'attuale Ordona) e, dovendo dirigersi a Venosa, passò prima per Muro Lucano, dove è ancora ben visibile un ponte sul quale transitò con le sue truppe e poi per Pierno. La storia vera e propria del Santuario nasce nel 1130. Si narra che in quell'anno, a causa dell'invasione dei pirati Saraceni, i monaci Romiti Basiliani che abitavano il Monte S.Croce scapparono nella folta vegetazione del vicino monte Pierno e lì, in una cavità rocciosa, nascosero una statua lignea raffigurante appunto la Madonna. Negli anni immediatamente successivi, verosimilmente nel 1139, a seguito della repressione messa in atto dalle truppe antipapali del Re Ruggiero II, San Guglielmo da Vercelli, in fuga dal monastero di Goleto (nei pressi di S.Angelo dei Lombardi) trovò scampo nei boschi del Monte Pierno e lì rinvenne il prezioso simulacro. Nel frattempo, ebbe termine la lunga guerra tra principi normanni che si contendevano il diritto di sovranità nell'Italia meridionale e fu convinzione comune che il merito fosse da ascrivere alla Madonna di Pierno, mediatrice con Dio delle preghiere a Lei rivolte dalle popolazioni stremate. Terminato il periodo bellico, con l'affermazione di Re Ruggiero II a sovrano degli stati Normanni, nello stesso anno 1139, San Guglielmo, chiese ed ottenne il permesso dal Vescovo di Rapolla per la edificazione di una chiesetta alle pendici del Monte Pierno per mettere in venerazione il simulacro. Alla costruzione della Chiesa, seguì quella di 2 monasteri e la messa a dimora di una piantagione di castagni, tuttora ben individuabile e che porta ancora oggi il nome di 'castagneto di San Guglielmo'. Nella zona, oltre ai religiosi, si insediarono anche alcune famiglie di contadini che erano dedite alla coltivazione dei terreni che i feudatari donavano alla Chiesa.  Col trascorrere degli anni, il flusso dei pellegrini verso il Santuario assunse carattere sempre più rilevante e fu così che il principe Gilberto II de Balban, Signore anche di Vitalba e Armaterra, feudo nel cui territorio la Chiesa ricadeva, nel 1189 decise l'ampliamento del Tempio. L'opera doveva anche rappresentare un ex-voto per il rischioso impegno che le sue truppe stavano per affrontare dovendo recarsi in Terra Santa a combattere per la liberazione di quei territori in occasione delle terza crociata. Gilberto II tornò comunque sano e salvo dalla Crociata e, nel 1197, come si legge nelle iscrizioni del portale della Chiesa, ebbe la soddisfazione di inaugurare solennemente il nuovo Tempio alla presenza del priore Bartolomeo e della Badessa del monastero del Goleto, di cui Pierno era dipendenza, Agnese dei Principi Filomarino.  La realizzazione della nuova Chiesa, che ha compreso al suo interno quella preesistente, (edificata da S.Guglielmo) fu curata dall'architetto Magister Sarolus che, insieme al fratello, dirigeva nella vicina Muro Lucano una scuola di apprendisti operai. Le iscrizioni latine presenti sul portale tuttora esistente, narrano che la costruzione della Chiesa fu avviata nel 1189 durante il priorato di Frate Altenio ma il completamento avvenne nel 1197, con Frate Bartolomeo: si tratta di una delle poche opere di arte romanico-normanna del secolo XII° esistenti in Basilicata. La data della consacrazione del Tempio, invece, risalirebbe al 1221 e, secondo alcuni scritti dell'epoca, al rito partecipò anche il Papa Onorio 3°.  In quell'epoca, infatti, i pontefici erano soliti compiere personalmente la consacrazione di Chiese insigni; lo fecero Papa Urbano II per la Chiesa della SS. Trinità di Cava nel 1092 e Papa Innocenzo III nel 1216 per la Chiesa di San Giovanni di Orvieto. E' probabile inoltre l'ipotesi secondo la quale i riti solenni della consacrazione della Chiesa furono tenuti alla presenza dell'imperatore Federico II di Svevia, in analogia a quanto avvenuto per la consacrazione della Chiesa di Monticchio nel 1059 da parte di Niccolò II, alla presenza di Roberto il Guiscardo. Altri documenti, infatti, testimoniano la presenza di Federico II nel 1221 a Melfi; proprio in quell'epoca, visitando per la prima volta la valle di Vitalba, egli concepì l'idea della edificazione dei 3 castelli: Melfi, Lagopesole e San Fele. Non si può comunque escludere che il Rito di consacrazione sia stato officiato dai Vescovi Roberto di Muro Lucano e Buonomo di Monteverde. Il 5 Dicembre 1456, però, un violento terremoto distrusse gran parte della chiesa, i monasteri e le modeste abitazioni dei contadini tanto da far allontanare dalla zona sia questi ultimi che gli stessi religiosi.  L'evento sismico risparmiò solo il prònao, la facciata, il portale, le tre navate divise da colonne con capitelli e la parte centrale dell'abside che restarono comunque in abbandono fino al 1550 quando la chiesa fu ricostruita in seguito ad alcuni eventi prodigiosi.  Si narra infatti che a seguito dell'evento sismico e della impraticabilità del tempio, la statua della Madonna fu trasferita nella Chiesa di Atella per assicurarLe una decorosa sistemazione ed ecco l'evento prodigioso: dopo il primo trasferimento nel comune vulturino, la statua scomparve inspiegabilmente per poi riapparire su un masso del Monte Pierno, difficilmente raggiungibile. Tale sporgenza, ancora ben visibile, è chiamata 'la ripa della Madonna'. Dopo il ritrovamento seguirono altri trasferimenti della statua ad Atella ma 'il miracolo' della scomparsa e della riapparizione si replicò ancora. Fu così che il papa dell'epoca, Leone X, informato del fatto dal vescovo di Melfi, Lorenzo Pucci, (successivamente cardinale), nel 1515 elevò il tempio di Pierno a Badia e, appunto nel 1550, per ordine di Don Luigi De Leyva, principe di Ascoli e signore di Atella, il governatore spagnolo Giovanni Salamanca la fece ricostruire. In una diversa ricostruzione del Fortunato, però, si sostiene che l'attuale chiesa sarebbe il risultato di un'opera di ristrutturazione effettuata nel 1695 quando, a seguito di un terremoto verificatosi nell'anno precedente, l'allora vescovo di Muro Lucano ne avrebbe ordinato l'esecuzione. Lo stesso Fortunato precisa addirittura che quell'evento sismico non avrebbe causato danni tanto rilevanti da giustificare quei lavori. A prescindere dalla veridicità delle due tesi, la storia del Santuario prosegue con un capitolo dedicato alla 'competenza' territoriale, contesa dalle due diocesi più vicine alla località. Nel corso dei secoli, infatti, le diocesi di Rapolla e Muro Lucano, (confinanti tra loro) si disputarono varie volte la competenza sul territorio del Santuario e, soltanto nel 1895, durante il papato di Leone XIII, la commissione Concistoriale, esaminate le varie argomentazioni, pronunciò una definitiva ed inappellabile sentenza con la quale si attribuì alla diocesi di Muro Lucano il territorio conteso. Successivamente, il vescovo di Muro Lucano, Mons. Raffaele Capone, confermò uno speciale statuto con il quale stabilì che ad officiare il Santuario dovesse essere il clero di San Fele.

 
   
   
Il Santuario oggi
Attualmente, pur se parzialmente aperto al culto, non sono ancora ultimati i lavori di restauro resisi necessari in seguito al terremoto del 23 Novembre 1980. Titolare dell'opera è la Sovrintendenza ai Monumenti della Basilicata. Gli interventi già compiuti hanno impegnato una somma di poco superiore al miliardo di lire giungendo alla completa ristrutturazione dell'esterno, del tetto e di parte dell'interno.
   
 
   
 

Durante la realizzazione di questi lavori, sono venuti alla luce dei resti umani che, come si sostiene in alcuni scritti, dovrebbero appartenere proprio alla famiglia di Gilberto II de Balban in considerazione dell'impegno profuso per la ricostruzione del tempio (1197) e per il suo arricchimento con molte donazioni.  Altri resti umani sono stati scoperti molto recentemente; all'inizio di Novembre 98, infatti, durante l'esecuzione dei lavori per il ripristino della piazza antistante la Chiesa, sono tornati alla luce i resti di un monastero, (probabilmente quello attribuito a San Guglielmo) e, tra i muri perimetrali, è stato rinvenuto in perfetto stato di conservazione anche uno scheletro umano, appartenente presumibilmente ad un monaco vissuto intorno al 1200.
01/05/2001 - Riapertura al culto della Badia ( Gazzetta Del Mezzogiorno )
PIERNO (San Fele)
Dopo ventuno lunghi anni la Badia di Santa Maria di Pierno riapre le porte ai fedeli. La struttura medievale, una delle più insigni della regione, venne chiusa subito dopo il terremoto dell'80 per l'inagibilità di alcune navate. Cinque anni dopo, per iniziativa del Vescovo della Diocesi di Melfi Mons. Vincenzo Cozzi e della Sovrintendenza alle Belle Arti, sotto la direzione dell'Arch. Lucio Cappiello, sono iniziati i lavori di consolidamento della costruzione da sempre meta di migliaia di pellegrini per la festa dell'Assunta. Della probabile origine prenormanna della Chiesa e della sua rifondazione da parte di S. Guglielmo da Vercelli ne danno notizie fonti storiche. Nel 1132 si legge che Ruggero, Vescovo di Rapolla, concede a Guglielmo da Vercelli la 'rinomata abbazia di Pierno o di Perno in cui abitò molti anni e ciò per fondare il monastero per uomini e l'altro per donne del Guglieto o Boleto'. La comunità monastica di Pierno era costituita di 'oblati' che risiedevano nelle strutture annesse all'edificio ecclesiale. A capo vi era un priore nominato dalle badesse del Boleto e da queste scelto nell'ambito della comunità maschile adiacente il loro monastero. La memoria di quel monastero è oggi perduta ma durante i lavori di consolidamento e di rifinitura qualcosa è emerso dagli scavi. Sono stati finora portati alla luce alcune strutture murarie, la pavimentazione in basolato di un cortile interno e un lungo corridoio, forse porticato, parallelo alla chiesa. Lo scavo, in alcune zone portato fino a quattro metri di profondità, ha restituito numerosi reperti archeologici e monete angioine. In un'area con funzioni probabilmente di chiostro è stata riportata alla luce una sepoltura maschile databile al XIII secolo. Proprio la sepoltura conferma la presenza di un complesso monastico nella parte centrale dell' attuale piazza. Per completare i lavori sono stati stanziati 1900 milioni. Solo in corso d'opera si deciderà se ricostruire o meno le mura del sito archeologico. Durante la manifestazione è stato presentato un opuscolo sulla Badia a cura del Prof. Pietro Stia.

 
 
             
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